Oggi vi presentiamo “Farfalla” di Laura Lobrace.
Questo è il racconto di un bruco che vuole diventare farfalla, la storia di Ale che si sente intrappolato in un corpo non suo, dal quale vorrebbe fuggire. Una storia breve, intensa e struggente.
nel piattino abbiamo: contemporaneo
Farfalla
C'è qualcosa di sbagliato in
tutto questo; sbagliato in me o in ciò che mi circonda.
Tutto sembra così apparentemente
normale. Normale, strana parola, risulta al mio orecchio, quasi fastidiosa. Le
risatine di scherno proprio dietro di me fanno male, e loro lo sanno.
Primo banco, sulla destra.
Il gioco del giorno consiste nel
tirare palline di carta inzuppate di saliva sulla testa del malcapitato di
turno. Lo sfigato, come lo chiamano loro. Quello strano, quello che non rispetta
le gerarchie e i ruoli del gruppo. E il turno è quasi sempre il mio.
Privilegiato, hai la loro attenzione, mi dico.
E' routine.
Routine sono le palline di
cerbottana tra i ricci crespi, i ghigni e le occhiatacce al mio passaggio, l’essere
definito dai miei compagni di classe faccia
di rossetto.
Ultimamente però sono diventato
anche tacco dodici. A quindici anni
si può essere maledettamente sadici e crudeli solo perché non parli di ragazze,
motori, calcio e roba che, suppongo, piaccia immensamente ai tipi della mia
età.
Io non sono come loro!
L'ultima volta mi hanno chiuso
nello sgabuzzino della palestra, al buio, ma il buio ormai è dentro me.
«Lascialo lì, lo scoprirà la
bidella quando verrà a pulire», sghignazzano dietro la porta.
«Oggi Rosetti non c'è, si sarà
beccato l'influenza», li sento riferire tutti convinti al prof di educazione
fisica, beandosi della loro bravata infame.
E' inutile urlare.
Non mi ascolterebbero e del resto
non trovo neanche le parole.
L'ultima al bar della scuola.
Prendo un pezzo di pizza dall'omino focaccina come chiamano il signor Franco,
faccio per addentarla quando Solari, ultimo banco a sinistra, detto N.P. (non
pervenuto visto che in classe c'è solo fisicamente) mi urta, di proposito,
facendomi cadere la pizzetta rossa a terra.
«Oh scusa, non l'ho mica fatto
apposta», ghigna con voce stridula e fastidiosa, calpestandola, indugiando,
sempre di proposito.
E' uno strazio continuo, ogni
giorno un'agonia, mi sento morire dentro, vessato e umiliato, come quel misero
pezzo di pizza calpestato senza indugio.
Sei uno stronzo. Un idiota senza
cervello, vorrei gridargli contro, ma a cosa servirebbe? Lui che è alto due
metri per ottanta chili di stazza mi rimetterebbe a posto in un secondo.
Prendo e porto a casa, ancora una
volta.
«Tieni, visto che quell'imbecille
non te la ripaga, ne vuoi un pezzo della mia?», una voce alle spalle mi
distrae. E' minuta, magrolina, l'apparecchio ai denti e i capelli biondi, lisci
come spaghetti. Mi offre un pezzo della sua pizzetta come se nulla fosse. Un
pallido sorriso.
«Mi chiamo Mia, e tu?»
Semplice, è tutto qui.
«Ale...», rispondo guardingo e un
po' stupito.
E' così facile diventare amici
per la vita.
A volte basta un pezzo di pizza a
metà.
Sai, Mia, sei diventata subito la
migliore amica che avessi mai potuto desiderare, perché tu mi capisci, mi fai
ridere e sei speciale.
E soprattutto sei una femmina.
Sì, proprio una femmina, con le tette (anche se tu dici che sono praticamente
inesistenti) senza baffi e barba o un coso ingombrante che si alza a suo
piacimento in mezzo alle gambe. E tu hai quel corpo che a te non piace per
nulla, ma che io, imprigionato in questo sarcofago magro di un metro e ottanta,
non potrò mai avere. Una volta, in camera tua, tu che avevi capito tutto, mi
avevi detto di fregarmene, che ero bellissimo, che ero il tuo Ale e mi amavi
così com'ero. Nessuno me lo aveva detto con quell'intensità, sai?
Poi avevi preso la trousse e mi
avevi imporporato un po' le guance, così per gioco, e poi un filo di gloss
sulle labbra e il mascara sulle ciglia.
«Niente di più che poi sembri una
drag queen e diventi ridicolo.»
Come se agli occhi degli altri
già non lo sia.
Poi mi avevi baciato sulla fronte
«Ecco, ora sei perfetto.»
Dio, Mia, se solo avessi la tua
forza e anche la tua ingenuità o solo un'infinita parte della tua voglia di
vita come sarei felice! Potrei vivere la mia metamorfosi, corpo di uomo in un
cuore di donna, con molta più leggerezza. Ma come fare quando hai una madre
assente, un padre che vorrebbe per l'unico figlio maschio la sua stessa,
austera carriera militare e a scuola ti ricordano ogni giorno quanto sei
strano?
Questa è la mia vita mi ripeto di
continuo.
La vita che vorrei? Solo Mia
riesce a leggermi l'anima. Mia e i suoi quindici anni, Mia e la sua macchinetta
per i denti, Mia e il suo profumo buono quando muove i capelli ispidi.
Mia, tutta mia.
Mi ama. Di un amore unico e
speciale che gli altri non capirebbero. E' come se fossi un bruco
insignificante e goffo nelle sue mani che anela a diventare una splendida
farfalla variopinta.
Metamorfosi. Mutaforma.
Rinascita.
A scuola la prof di lettere ci ha
letto il racconto di un tale che si trasforma in un insetto orrido, metafora di
quanto sia alienante e priva di gioie la vita di chi è considerato diverso.
Mia se tu sapessi.
Se tu sapessi quanto mi odio
perché non sono e non sarò mai quello che gli altri vorrebbero da me. Ho due
braccia, due gambe, una testa, due mani eppure sono strano.
Diverso.
Lo so di chi è la colpa.
E' di quel cuore maledetto che
desidera altro da sé e che tace.
Se non avessi questo povero cuore
forse sarei come tutti gli altri e nessuno mi chiamerebbe faccia di rossetto e
non conoscerei il buio di uno sgabuzzino delle scope.
Ma non saprei neanche di te Mia e
di tutto quello che di prezioso mi hai donato. La tua amicizia, la tua
comprensione, la tua tenerezza.
Forse ne è valsa la pena.
Forse...
Sono solo, ora.
Solo con me stesso.
Lo specchio riflette l'immagine
di un adolescente insipido, brutto, direi, eppure basta un foulard di seta
colorato rubato dall'armadio di mia madre, le mani che tremanti si passano
sulle labbra il rossetto e il gioco è fatto. La metamorfosi che vorrei e che è
già dentro me più radicata che mai.
Eppure sono io il primo a non
accettarla, a non desiderarla fino in fondo.
Mi detesto, mi detesto, forse più
di quanto gli altri detestino me stesso.
Passo un dito sul petto glabro e
poi più su, lungo il pomo d'Adamo, lungo il collo candido e poi le labbra
carnose, troppo, color ciliegia. Dio se davvero fossi così bella mormoro
tra me indugiando in ogni centimetro del mio corpo, come farebbe un nobile e
premuroso amante.
Corpo di uomo, cuore di donna.
Alessandro si dissolve con il
buio dell'anima e dei cattivi pensieri.
Sono certo che solo tu mi
capiresti Mia.
Alessandro è il tuo amico di
sempre, ma questo corpo è troppo pesante. Gli insulti sono pesanti come
macigni. La vita dentro questo involucro inutile mi è insopportabile.
Si libra leggero nell'aria, ora,
come una farfalla.
Apro la finestra.
L'aria frizzantina del mattino di
novembre è pungente e rassicurante al tempo stesso. Mia lo so che ora mi
guarderesti coi tuoi occhi grandi e premurosi e mi tenderesti la mano dicendomi
che è tutto okay, ma non posso.
Perdonami, non chiedo nulla.
Il bruco vuole solo diventare
farfalla. Nient'altro. E trasformarsi corpo e anima.
Un passo, e poi un altro ancora,
deciso, in piedi sul davanzale.
Mi sento potente e vivo anche se
tremo leggermente.
L'anima vola.
E un attimo dopo il vuoto.
Anzi no.
E' il mio volo di farfalla
finalmente libera.
:-( triste...
RispondiEliminaStupenda. .....
RispondiEliminavero? trsite ma intenso :) _yoko
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