2 settembre 2015

I Vostri racconti: "Farfalla" di Laura Lobrace

parole incantate davanti a una tazza sul blog letterario de le tazzine di yoko - rubrica racconti
Nuovo appuntamento con per la nostra rubrica “parole incantate davanti a una tazza” dedicata ai vostri racconti ^_^
Oggi vi presentiamo “Farfalla” di Laura Lobrace.

Questo è il racconto di un bruco che vuole diventare farfalla, la storia di Ale che si sente intrappolato in un corpo non suo, dal quale vorrebbe fuggire. Una storia breve, intensa e struggente.
nel piattino abbiamo: contemporaneo 01 - compulsivamente lettrice - 8 torta contemporanei sul blog letterario de le tazzine di yoko

Farfalla



C'è qualcosa di sbagliato in tutto questo; sbagliato in me o in ciò che mi circonda.
Tutto sembra così apparentemente normale. Normale, strana parola, risulta al mio orecchio, quasi fastidiosa. Le risatine di scherno proprio dietro di me fanno male, e loro lo sanno.
Primo banco, sulla destra.
Il gioco del giorno consiste nel tirare palline di carta inzuppate di saliva sulla testa del malcapitato di turno. Lo sfigato, come lo chiamano loro. Quello strano, quello che non rispetta le gerarchie e i ruoli del gruppo. E il turno è quasi sempre il mio. Privilegiato, hai la loro attenzione, mi dico.
E' routine.
Routine sono le palline di cerbottana tra i ricci crespi, i ghigni e le occhiatacce al mio passaggio, l’essere definito dai miei compagni di classe faccia di rossetto.
Ultimamente però sono diventato anche tacco dodici. A quindici anni si può essere maledettamente sadici e crudeli solo perché non parli di ragazze, motori, calcio e roba che, suppongo, piaccia immensamente ai tipi della mia età.
Io non sono come loro!
L'ultima volta mi hanno chiuso nello sgabuzzino della palestra, al buio, ma il buio ormai è dentro me.
«Lascialo lì, lo scoprirà la bidella quando verrà a pulire», sghignazzano dietro la porta.
«Oggi Rosetti non c'è, si sarà beccato l'influenza», li sento riferire tutti convinti al prof di educazione fisica, beandosi della loro bravata infame.
E' inutile urlare.
Non mi ascolterebbero e del resto non trovo neanche le parole.
L'ultima al bar della scuola. Prendo un pezzo di pizza dall'omino focaccina come chiamano il signor Franco, faccio per addentarla quando Solari, ultimo banco a sinistra, detto N.P. (non pervenuto visto che in classe c'è solo fisicamente) mi urta, di proposito, facendomi cadere la pizzetta rossa a terra.
«Oh scusa, non l'ho mica fatto apposta», ghigna con voce stridula e fastidiosa, calpestandola, indugiando, sempre di proposito.
E' uno strazio continuo, ogni giorno un'agonia, mi sento morire dentro, vessato e umiliato, come quel misero pezzo di pizza calpestato senza indugio.
Sei uno stronzo. Un idiota senza cervello, vorrei gridargli contro, ma a cosa servirebbe? Lui che è alto due metri per ottanta chili di stazza mi rimetterebbe a posto in un secondo.
Prendo e porto a casa, ancora una volta.
«Tieni, visto che quell'imbecille non te la ripaga, ne vuoi un pezzo della mia?», una voce alle spalle mi distrae. E' minuta, magrolina, l'apparecchio ai denti e i capelli biondi, lisci come spaghetti. Mi offre un pezzo della sua pizzetta come se nulla fosse. Un pallido sorriso.
«Mi chiamo Mia, e tu?»
Semplice, è tutto qui.
«Ale...», rispondo guardingo e un po' stupito.
E' così facile diventare amici per la vita.
A volte basta un pezzo di pizza a metà.
Sai, Mia, sei diventata subito la migliore amica che avessi mai potuto desiderare, perché tu mi capisci, mi fai ridere e sei speciale.
E soprattutto sei una femmina. Sì, proprio una femmina, con le tette (anche se tu dici che sono praticamente inesistenti) senza baffi e barba o un coso ingombrante che si alza a suo piacimento in mezzo alle gambe. E tu hai quel corpo che a te non piace per nulla, ma che io, imprigionato in questo sarcofago magro di un metro e ottanta, non potrò mai avere. Una volta, in camera tua, tu che avevi capito tutto, mi avevi detto di fregarmene, che ero bellissimo, che ero il tuo Ale e mi amavi così com'ero. Nessuno me lo aveva detto con quell'intensità, sai?
Poi avevi preso la trousse e mi avevi imporporato un po' le guance, così per gioco, e poi un filo di gloss sulle labbra e il mascara sulle ciglia.
«Niente di più che poi sembri una drag queen e diventi ridicolo.»
Come se agli occhi degli altri già non lo sia.
Poi mi avevi baciato sulla fronte «Ecco, ora sei perfetto.»
Dio, Mia, se solo avessi la tua forza e anche la tua ingenuità o solo un'infinita parte della tua voglia di vita come sarei felice! Potrei vivere la mia metamorfosi, corpo di uomo in un cuore di donna, con molta più leggerezza. Ma come fare quando hai una madre assente, un padre che vorrebbe per l'unico figlio maschio la sua stessa, austera carriera militare e a scuola ti ricordano ogni giorno quanto sei strano?
Questa è la mia vita mi ripeto di continuo.
La vita che vorrei? Solo Mia riesce a leggermi l'anima. Mia e i suoi quindici anni, Mia e la sua macchinetta per i denti, Mia e il suo profumo buono quando muove i capelli ispidi.
Mia, tutta mia.
Mi ama. Di un amore unico e speciale che gli altri non capirebbero. E' come se fossi un bruco insignificante e goffo nelle sue mani che anela a diventare una splendida farfalla variopinta.
Metamorfosi. Mutaforma.
Rinascita.
A scuola la prof di lettere ci ha letto il racconto di un tale che si trasforma in un insetto orrido, metafora di quanto sia alienante e priva di gioie la vita di chi è considerato diverso.
Mia se tu sapessi.
Se tu sapessi quanto mi odio perché non sono e non sarò mai quello che gli altri vorrebbero da me. Ho due braccia, due gambe, una testa, due mani eppure sono strano.
Diverso.
Lo so di chi è la colpa.
E' di quel cuore maledetto che desidera altro da sé e che tace.
Se non avessi questo povero cuore forse sarei come tutti gli altri e nessuno mi chiamerebbe faccia di rossetto e non conoscerei il buio di uno sgabuzzino delle scope.
Ma non saprei neanche di te Mia e di tutto quello che di prezioso mi hai donato. La tua amicizia, la tua comprensione, la tua tenerezza.
Forse ne è valsa la pena.
Forse...

Sono solo, ora.
Solo con me stesso.
Lo specchio riflette l'immagine di un adolescente insipido, brutto, direi, eppure basta un foulard di seta colorato rubato dall'armadio di mia madre, le mani che tremanti si passano sulle labbra il rossetto e il gioco è fatto. La metamorfosi che vorrei e che è già dentro me più radicata che mai.
Eppure sono io il primo a non accettarla, a non desiderarla fino in fondo.
Mi detesto, mi detesto, forse più di quanto gli altri detestino me stesso.
Passo un dito sul petto glabro e poi più su, lungo il pomo d'Adamo, lungo il collo candido e poi le labbra carnose, troppo, color ciliegia. Dio se davvero fossi così bella mormoro tra me indugiando in ogni centimetro del mio corpo, come farebbe un nobile e premuroso amante.
Corpo di uomo, cuore di donna.
Alessandro si dissolve con il buio dell'anima e dei cattivi pensieri.
Sono certo che solo tu mi capiresti Mia.
Alessandro è il tuo amico di sempre, ma questo corpo è troppo pesante. Gli insulti sono pesanti come macigni. La vita dentro questo involucro inutile mi è insopportabile.
Si libra leggero nell'aria, ora, come una farfalla.
Apro la finestra.
L'aria frizzantina del mattino di novembre è pungente e rassicurante al tempo stesso. Mia lo so che ora mi guarderesti coi tuoi occhi grandi e premurosi e mi tenderesti la mano dicendomi che è tutto okay, ma non posso.
Perdonami, non chiedo nulla.
Il bruco vuole solo diventare farfalla. Nient'altro. E trasformarsi corpo e anima.
Un passo, e poi un altro ancora, deciso, in piedi sul davanzale.
Mi sento potente e vivo anche se tremo leggermente.
L'anima vola.
E un attimo dopo il vuoto.
Anzi no.
E' il mio volo di farfalla finalmente libera.

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